27 marzo 2010

Appello di Hevi Dilara, musicista Kurda

Alla luce della recente operazione di polizia che ha portato all'arresto di molti kurdi che da anni vivono in Italia, pubblichiamo l'appello di una donna kurda alle donne italiane e alla societa civile italiana, perché nessuno venga dimenticato e a tutti venga data pari dignita di esistenza.

Il mio nome è Hevi, che in lingua kurda significa speranza. Ma sui documenti ho un nome turco, perché in Turchia è proibito dare ai figli un nome kurdo.
Sono una rifugiata politica, fuggita dalla repressione turca, e vivo in Italia da 14 anni. Sono una donna kurda, perseguitata per aver voluto esprimere la mia identità, per aver voluto far parte di un gruppo di musicisti kurdi, di cui ero la cantante. Come tante altre, che ancora oggi continuano ad essere perseguitate e subiscono la repressione.
Il popolo kurdo sta vivendo una persecuzione unica nel suo genere, di cui nessuno parla, soprattutto in Europa, e nemmeno in Italia.
Il 2008 ha visto un grave aumento dei dati sulla repressione nei confronti di cittadini e della società civile kurda in Turchia, come emerge anche nei rapporti di Amnesty International e dell'Associazione per i diritti umani.
La Turchia considera i kurdi dei terroristi, per la loro volontà di esistere. Ed esige dagli alleati europei, che lo siano anche per loro. Accettarlo significa violare ogni convenzione internazionale e dichiarazione universale per i diritti umani, che l’Italia e gli altri paesi europei hanno firmato.
L'Unione europea ed i paesi ad essa appartenenti, si stanno allineando alla prassi turca di annientamento e negazione di un popolo. Quel popolo kurdo, che in Europa si attesta attorno al milione di persone, fra rifugiati politici e migranti.
Pur essendo una comunità recentemente venuta in Italia, nelle aree in cui vivono i kurdi e le kurde sono molto bene integrati, lavorano e studiano.
Non va dimenticato però che sono fra le migliaia di vittime della guerra che i militari e lo Stato Turco perpetrano contro il popolo kurdo: uomini, donne e bambini. I rifugiati politici come me, infatti, non sono migranti che lasciano con un progetto di vita nuovo il proprio paese. Sono in fuga, alla ricerca di un posto dove poter vivere e sentirsi al sicuro.
Nonostante le difficoltà di trovare un lavoro, come rifugiati politici e migranti kurdi, qui in Italia siamo riusciti a sentirci come a casa, accolti dagli italiani che ci hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ma ci risulta difficile comprendere perché la polizia attacchi noi kurdi anche nelle case.

I kurdi che vivono In Italia sono in maggioranza rifugiati politici, fuggiti da un paese in cui rischiano la vita. Secondo l'Associazione dei diritti umani sono almeno 18 le esecuzioni extra-giudiziarie avvenute nel 2009 in Turchia. Sono più di duemila i giovani sotto i 18 anni arrestati per aver partecipato a manifestazioni di piazza per i diritti del popolo kurdo. Sono centinaia i rappresentanti democraticamente eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali che nell’ultimo anno sono stati imprigionati. Uomini e donne che si battono per l’affermazione dei diritti e un’autonomia territoriale come quella che in Italia viene riconosciuta all’Alto Adige e alle altre regioni a Statuto speciale.
Anche in Europa, come si è visto dalla grave operazione lanciata la settimana scorsa in Italia e attualmente ancora in corso anche in Francia e in Belgio, le azioni del movimento kurdo vengono considerate azioni di terrorismo.
Si tratta di manifestazioni pubbliche di carattere culturale e politico, trasmissioni televisive, festival e concerti, oppure incontri residenziali svolti alla luce del sole in luoghi pubblici, come quelli tenutisi in Italia.
I kurdi in Europa svolgono attività d’informazione e di sensibilizzazione senza aver mai commesso alcuna azione terroristica.
In Europa ci si avvia verso un allineamento alle pratiche turche, in nome di interessi che vanno al di là di ogni civiltà, attraverso forme di persecuzione (usando come pretesto il nome del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che in Europa non esiste) che portano alla criminalizzazione del popolo kurdo in Turchia e di coloro che si espongono a difesa dei propri diritti.
Faccio personalmente appello alle organizzazioni delle donne italiane, ai democratici e alla società civile italiana affinché si rompa il silenzio attorno ai fatti di repressione nei confronti dei kurdi, che non vengono solo perseguitati in patria, ma anche in Italia.
Vi ringrazio per l’attenzione.

Hevi DILARA

11 marzo 2010

Presidio della memoria - L'Aquila 6 marzo 2010


"Quando dopo le elezioni ricomincerà l'iter parlamentare del processo breve andremo tutti a Montecitorio per fare sentire la nostra voce contro una legge che mette a rischio tutti i processi, a cominciare da quelli per i crolli del sei aprile" ha detto dal palco alla fine della manifestazione Antonietta Centofanti, zia di uno dei ragazzi morti sotto le macerie della Casa dello studente, Davide Centofanti, e portavoce del Comitato vittime della Casa dello studente.

"Il processo breve ci fa paura" ha detto dal palco Daniela Rombi, che ha perso una figlia nella strage di Viareggio. "Perchè non può essere che il 29 giugno non sia successo niente. Ci siamo sentiti soli, invece non lo siamo, e siamo qui anche per impedire che con il processo breve non si facciano le inchieste su queste tragedie".

Anche Antonio Boccuzzi, l'unico operaio sopravvissuto alla tragedia della Thyssenkrupp, nella lettera che ha mandato non avendo potuto partecipare alla manifestazione e che è stata letta dal palco, ha parlato del processo breve e della possibilità che cancelli tragedie come Viareggio e l'Aquila o scandali come la Parmalat.

I familiari delle vittime sono tornati anche sulle intercettazioni choc dei due imprenditori che si raccontavano che alle 3:32 della notte del sei aprile ridevano al pensiero degli affari che avrebbero potuto fare con il terremoto. "E' sconvolgente" ha detto la Centofanti "che anche il dolore e il lutto siano diventati occasione di lucro e che quella notte mentre noi eravamo ancora nella case che che crollavano a scavare per tirare fuori i nostri morti quei due squali ridevano e parlavano di affari".


Il corteo per ricordare i morti di illegalità, al quale hanno partecipato oltre 4000 persone, era partito alle cinque e mezza dalla Fontana luminosa per finire a Collemaggio. Solo una delegazione doveva staccarsi per andare alla Casa dello Studente. In realtà quasi tutti i partecipanti sono andati a rendere omaggio alle giovani vittime del terremoto davanti alla Casa dello Studente dove i genitori dei ragazzi morti il sei aprile, che hanno sfilato dietro uno striscione nero con la scritta bianca "6 aprile 2009 3:32 chi ha ucciso i nostri figli?" hanno deposto fiori e mimose e hanno lasciato una lettera infilata nella cancellata esterna, in un'atmosfera di fortissima commozione.

Il corteo dopo la sosta è ripartito dalla villa comunale e si è trasformato in una via crucis del dolore, con momenti di raccoglimento spontanei davanti a ogni palazzo crollato.

Alla manifestazione per ricordare i "morti di illegalità" hanno partecipato anche una delegazione arrivata da Giampilieri e i parenti dei morti della strage del 12 giugno, arrivati da Viareggio con lo striscione "32 vittime zero indagati, partita truccata". Per la prima volta in piazza c'erano anche i genitori degli altri studenti morti durante il terremoto, quelli che abitavano in case private del centro storico. Al corteo anche una delegazione da Giampilieri, il paese siciliano travolto da una frana a ottobre del 2009, una da San Giuliano di Puglia, dove nel 2002 27 bambini morirono nel crollo della loro scuola, il popolo delle agende rosse, il movimento fondato da Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino ucciso dalla mafia nel 1992 in via D'Amelio a Palermo, e le madri di Plaza de Mayo.

In corteo anche la presidente della provincia dell'Aquila Stefania Pezzopane e il parlamentare Pd Giovanni Lolli che ha sottolineato come la partecipazione di politici e amministratori fosse "solo a titolo personale". A via Zara si è unito al corteo anche il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente. "Ci sono due elementi nella manifestazione di oggi", ha detto Cialente, "il dolore e la compostezza. E siamo qui con la consapevolezza che il dolore non passerà mai".

8 marzo 2010

Martedì 9 marzo: incontro con Efat Mahbas, attivista dell'associazione iraniana " Madri in lutto"


COMITATO IRANIANO PER LA DIFESA DELLA LIBERTA’ E DEMOCRAZIA IN IRAN

IN COLLABORAZIONE CON DONNE IN NERO DI BOLOGNA

INVITA

martedì 9 marzo alle ore 18,30

Al Centro di Documentazione delle Donne di Bologna

Via del Piombo,5

all’incontro con EFAT MAHBAS

Attivista delle “MADRI IN LUTTO” a Londra, dove vive dopo essere fuggita dal paese all’indomani della liberazione dal carcere dopo sette anni di prigionia e membro dell’associazione per i Diritti Umani di Shirin Ebadi. E’ giornalista e scrittrice; ha scritto tre libri di cui uno di memorie sulla sua esperienza nel carcere.

Con la nostra presenza testimoniamo ancora una volta l’appoggio alle donne iraniane per mettere fine alla violenza, alla repressione e ottenere il rilascio immediato delle attiviste arrestate

Firmiamo l’appello per la libertà e l’uguaglianza di genere visitando il sito: www.irangenderequality.com


Durante la serata proiezione del video con Roberto Saviano che parla di Neda e Taraneh, le due ragazze uccise in circostanze drammatiche diverse, assurte a simbolo della violenza del regime iraniano e della resistenza della gioventù, tra cui tante ragazze. (tratto dallo speciale “che tempo che fa” con Saviano di febbraio)

Aderiscono: SOS DONNA/Ass. Orlando/Donne di Mondo/ Donne CGIL/Coord.Donne SPI/UDI

2 marzo 2010

Gli incontri e le foto di Malalai Joya a Bologna







































Giovedì 25 febbraio è stata nostra ospite a Bologna Malalai Joya, la trentaduenne deputata afgana che, cacciata dal parlamento dopo aver denunciato le presenza tra i deputati di criminali di guerra, lotta e rischia quotidianamente la vita perché le donne del suo Paese possano vivere in pace nel pieno riconoscimento dei loro diritti e gira il mondo per far conoscere la verità sulla guerra in Afghanistan, venduta in Occidente come guerra al terrorismo, per liberare le donne, per la democrazia. Malalai chiede a tutte e tutti coloro che hanno a cuore la pace ma anche le sorti della popolazione afgana, di fare appello ai propri governi perché ritirino le truppe, infatti dopo più di otto anni di occupazione nulla di quello che hanno promesso è stato raggiunto, anzi la popolazione civile è quella che più ha sofferto e soffre.
In mattinata Malalai ha incontrato le studentesse e gli studenti del liceo classico Minghetti, accompagnata da Patricia Tough delle Donne in Nero di Bologna e da Graziella Mascheroni del CISDA ( Comitato Italiano di Sostegno alle Donne Afgane) che si è occupata anche della traduzione.
Malalai ha saputo catturare l’attenzione di questo giovane pubblico comunque interessato ed attento che ha posto tante domande e man mano che Malalai dava informazioni, faceva conoscere le cifre del disastro e le menzogne che ci vengono servite ogni giorno, si è diffusa una voglia di capire, di condividere, di fare qualcosa… Per Malalai è stata una esperienza molto importante che a lei ha dato ottimismo e speranza e alle ragazze e i ragazzi la consapevolezza che noi tutti abbiamo e dobbiamo assumerci le nostre responsabilità di fronte a chi soffre anche a causa delle politiche di guerra che vedono i governi agire in nostro nome.
In serata si è svolto l’incontro alla Libreria delle Donne.
E’ stato proiettato un documentario in cui dalle vicende di alcune donne (ragazze che si sono date fuoco pur di sfuggire alle violenze familiari, vedove costrette a elemosinare in strada, bambine obbligate al matrimonio) emerge con chiarezza che la situazione per le Afgane non è migliorata da quando sono presenti nel Paese le truppe straniere.
Malalai ha raccontato la sua battaglia anche contro le verità parziali che raggiungono l’Occidente, ad esempio quando viene fornito un numero di vittime civili ampiamente al di sotto di quello reale. Con l’energia che la contraddistingue, nonostante la vita continuamente sotto pressione che è costretta a condurre anche per sfuggire alle continue minacce, ha spiegato che il popolo afgano deve attualmente difendersi da tre nemici: i Talebani, i Signori della guerra che sono ancora al governo e le truppe di occupazione straniera.
A tale proposito ha invitato ad ascoltare il suo appello ai parlamentari italiani perché si voti per il ritiro dell’ esercito italiano dal Paese, affinché la popolazione possa autonomamente lottare contro i nemici interni.
Importante la richiesta di giustizia affinché i criminali di guerra, Talebani e non, possano essere perseguiti da Corti di giustizia internazionali. Malalai ha affermato che non ci può essere nessuna giustizia senza verità e condanna e a tale proposito Patricia Tough ha ricordato le analoghe lotte delle donne del Sud America e di Srebrenica accomunate dalla richiesta di “VERITA’, GIUSTIZIA, RIPARAZIONE” poichè solo su queste basi possono rifondarsi le società.
Malalai ha evidenziato anche l’importanza che riveste l’educazione scolastica per le giovani afgane, senza la quale nessun riscatto è possibile.
Gli interventi del pubblico hanno sottolineato alcune analogie con la situazione italiana a proposito della menzogna in cui viviamo costantemente e Malalai mostrando le foto di un talebano che, rasato e vestito all’occidentale, è andato a studiare a Yale per diventare insegnante, ha osservato che anche in Italia rischiamo di trovarci in una situazione molto simile a quella del fascismo.
Le domande del pubblico sono state numerose ed è emersa la volontà di aiutare nel concreto le donne afgane. Malalai ha affermato che anche in Afganistan esistono partiti e associazioni democratiche (Rawa, Opawac, Hawca….) che hanno bisogno di finanziamenti e che lei stessa sta pensando di creare un partito che la possa supportare nelle sue numerose attività anche se le difficoltà sono molte.
Graziella Mascheroni ha spiegato che il CISDA sostiene da anni Malalai e tutte le organizzazioni citate e che è possibile contribuire dall’Italia con versamenti sul conto corrente dell’associazione e anche con il 5 per mille (sul nostro blog le modalità per il versamento).
La serata si è conclusa nella speranza che anche da Bologna si possa contribuire non solo economicamente, ma anche tramite campagne di sensibilizzazione alla causa di Malalai e di tutte le donne afgane.
Malalai andandosene ci lascia l’indelebile ricordo del suo dolce e malinconico sorriso di piccola, giovane ma indomabile donna che ha accettato di vivere blindata, continuamente sotto minaccia di morte (ha già subito quattro attentati), senza una dimora fissa e costretta a indossare l’odiato burqa nel suo Paese per portare avanti la sua lotta.
Noi ci auguriamo di rivederla presto, con la speranza che la sua personale situazione e quella delle sue compagne abbia finalmente avuto un’evoluzione positiva.
Donne in Nero di Bologna

1 marzo 2010

Adesione alla manifestazione delle e dei migranti del 1° marzo



Siamo le Donne in Nero di Bologna, seppure in ritardo aderiamo alla manifestazione considerando nostre le vostre rivendicazioni, si tratta di un movimento nonviolento che chiede il rispetto dei diritti umani fondamentali fatto da persone che fugge da guerre,violenze e povertà.
Ci consideriamo e siamo cittadine del mondo e come tali vogliamo che tutte e tutti possano percorrerelo in lungo e in largo senza essere fermate/i da una violenza razzista tanto ipocrita da non riconoscere il bisogno che questo "ricco"occidente ha, di chi arriva per lavorare.
Sentiamo come sempre una vicinanza particolare con le donne migranti che spesso al nostro fianco sono impegnate nella cura delle persone e dei luoghi e sostengono chi resta nel paese di origine con la generosità del loro vivere con sacrificio, nell'invisibilità, e spesso a rischio della propria incolumità, talvolta loro stesse così come noi inconsapevoli della propria indispensabilità. Consideriamo inumano il confinamento nei Cie delle e degli irregolari.