27 febbraio 2009

Domenica 1 marzo: INVITO al "Pranzo di solidarietà"

Le associazioni Donne in Nero, Antica come le montagne, Berretti Bianchi, Ipri-Reti corpi civili di pace, Orlando, Percorsi di pace, rete Lilliput, Un ponte per
invitano tutti
al "pranzo di solidarietà"
per sostenere l'Associazione La'Onf che in Iraq coraggiosamente e tra mille difficoltà, promuove la cultura e la pratica della nonviolenza, quale strumento per superare i conflitti in atto evitando il ricorso alle armi ;
per contribuire all'arrivo in Italia e a Bologna di rappresentanti di questo movimento.

Al Centro Sociale Garibaldi
via Esperanto 20 Casalecchio
ore 12.15
Con il contributo di 20 euro (bambini 10 euro)
Per informazioni Percorsi di Pace : 0516198744
dal lunedì al venerdì ore17/19, sabato ore 10/12

25 febbraio 2009

Conferenza stampa organizzata per il lancio del Tribunale Russel sulla Palestina


4 Marzo 2009 ore 10.30 Brussels – Residence Palace – International Press Centre
La recente Guerra su Gaza condotta dal governo e dall’esercito israeliano su Gaza, già sottoposta a blocco, sottolinea la particolare responsabilità degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nella perpetuazione dell’ingiustizia perpetrata nei confronti della popolazione palestinese deprivata dei diritti fondamentali.
E’ importante mobilitare la pubblica opinione internazionale in modo che le Nazioni Unite e gli stati membri adottino le misure necessarie per mettere fine all’impunità dello stato di Israele e per raggiungere una soluzione giusta e durevole di questo conflitto.
A seguito di un appello da parte di Ken Coates, Nurit Peled e Leila Shahid e con il supporto di oltre un centinaio di note personalità internazionali, si è deciso di organizzare un
Tribunale Russel sulla Palestina.
Presiede la Conferenza:Stéphane Hessel – Ambassador of France
Relatori:Ken Coates – Presidente della Bertrand Russell Peace Foundation
Nurit Peled – Premio Sakharov per la libertà di pensiero
Leila Shahid – Delegata generale della Palestina presso l’Unione Europea, Belgio and LuxembourgPierre Galand – Presidente della Commissione Coordinatrice delle ONG europee per la Questione Palestinese (ECCP)
Con la presenza di Ken Loach and Paul Laverty

Documento della comunità di pace di San José de Apartadò (Colombia).

Quello che segue è un documento inviato dalla comunità di pace di San José de Apartadò in Colombia.
Ci racconta questi anni di persecuzione da parte dell'esercito colombiano e dei paramilitari e come allo stato colombiano siano funzionali solo le realtà che esprimono una resistenza armata, mentre la resistenza che esprime una volontà di costruire un mondo diverso con al centro la "dignità" e la pace è scomoda e va eliminata.
Nel caso in cui questa forma di resistenza pacifista si diffondesse troppo non avrebbe più senso lo stato "securitario" violento su cui si fondano l'esistenza di Uribe e del suo governo e gran parte dell'economia colombiana, ma non solo.


QUATTRO ANNI DI BUGIE E STERMINIO MA ALLO STESSO TEMPO QUATTRO ANNI DI MEMORIA E DIGNITÀ

Il 21 di febbraio si sono compiuti quattro anni dall’orrendo massacro realizzato dall’esercito congiuntamente ai paramilitari; in quella occasione sono stati assassinati Luis Eduardo, suo figlio Deiner, la sua compagna Bellanira, Alfonso, la sua compagna Sandra i loro figli Natalia e Santiago così come Alejandro.
Si è trattato di uno dei peggiori massacri perpetrati nella storia del nostro paese; in quella occasione hanno agito insieme la crudeltà totale, gli istinti di morte e di sterminio coniugati alla più completa sfacciataggine alla ricerca del raggiungimento di un solo obiettivo: distruggere la comunità.
Malgrado le bugie, le azioni portate avanti per distruggerci, la costruzione di montature, l’assassinio di civili, le deportazioni, il furto di terre e le innumerevoli violazioni dei diritti umani, la memoria dei nostri amici ed amiche continua ad essere più ferma che mai e ci ha permesso fino ad oggi di conservare la nostra dignità
Loro ci hanno illuminato e dato forza; nei momenti più difficili ci sono vicini mentre costruiamo un cammino alternativo, sono più vivi che mai, il massacro dei loro corpi ha costituito unità e vitalità per la nostra comunità di fronte alla barbarie alla quale ci hanno sottoposto ogni giorno.
Abbiamo costruito e camminato generando a ogni passo l’edificazione di quello che significa dignità, questa luce, che molti ci aiutano a mantenere, è costituita dalla comunità che si unisce a molte luci che nel nostro paese optano per questi cammini alternativi e differenti come quelli della resistenza civile a partire da azioni comunitarie e solidali.
Sono stati quattro anni molto duri durante i quali ci è mancata la loro presenza e quella di coloro che sono stati assassinati in questi dodici anni però abbiamo imparato a costruire amore a partire dal dolore, speranza dalla disperazione e a rendere possibile quello che agli occhi del potere appare impossibile: siamo un’alternativa frutto dei nostri martiri assassinati che hanno creduto in un processo e fanno strada nel nostro cammino quotidiano.
Grazie tante per tutta questa solidarietà dimostrata nei confronti della comunità in questi quattro anni, soprattutto nei momenti in cui si è accentuata la volontà di distruggerci da parte dello stato, tutte le voci che sentono e vivono un mondo diverso hanno permesso che oggi noi siamo qua a commemorare questi quattro anni, non solo nella comunità ma anche in molti luoghi del mondo.
Vogliamo approfittare dell’occasione per condividere con voi l’ultimo diritto di petizione interposto da padre Javier in cui si raccolgono le barbarie commesse contro la nostra comunità negli ultimi mesi.


Questo è un documento che lasciamo all’umanità perché faccia giustizia per tutte queste atrocità, oggi non esiste giustizia di fronte alla barbarie contro la nostra comunità solo persecuzione, però crediamo che la storia farà giustizia.

21 febbraio 2009

Anna Politkovskaja - I misfatti dei potenti travestiti da ragion di Stato


- 20/02/09 di Giulietto Chiesa – da «La Stampa»

Il sospetto che la banda di spostati portata dagl’inquirenti davanti al tribunale di Mosca, fosse un coniglio malconcio venuto fuori troppo in fretta dal cappello a cilindro, c’era stato fin dall’inizio.

Parevano confezionati apposta per colmare in fretta la domanda di giustizia dell’opinione pubblica (più di quella esterna che di quella interna), e per chiudere, riducendo il danno d’immagine, l’assassinio di Anna Politkovskaja. La guerra di Cecenia, del resto, ha creato, in un decennio abbondante di massacri, una lunga scia di banditi, di killer professionali, di disadattati. Qualunque magistrato poco scrupoloso poteva pescare nel mucchio, sicuro di incappare in molti sospettabili a prima vista.

Sempre che fosse qualche “ceceno” l’esecutore materiale dell’assassinio. Sempre – ma come giurarci? - che fosse “ceceno” il suo mandante. Proprio a questo, infatti, quasi ovviamente, molti avevano pensato, fin dai primi istanti. Secondo la logica, troppo banale forse, che Anna Politkovskaja doveva essere stata uccisa per quello che aveva scritto e continuava a scrivere.

La banda, assai presto trovata, rispondeva perfettamente a questo criterio, se s’intendeva per “ceceno” non solo una persona di quella etnia, o nazione che dir si voglia, ma uno che era passato attraverso quel tritacarne, o che aveva nuotato in quel fiume, sporco di sangue, di dollari e rubli transitati ai piedi del Caucaso del Nord, giungendo fino a Groznij.

Ma che l’assassino e il mandante fossero “ceceni” non era scontato.

Il delitto si era rivelato subito troppo importante , troppo clamoroso, troppo internazionalmente significativo, per essere “soltanto” mosso dalla vendetta di un bandito, fosse pure un bandito diventato presidente di una repubblica della Federazione Russa. Avveniva proprio nel momento in cui , per esempio, Vladimir Putin stava facendo la grande virata strategica che, in pochi mesi, avrebbe fatto scorrere brividi di preoccupazione, e di irritazione, in molte capitali occidentali. Sicuramente a Washington. L’occasione della morte della Politkovskaja sarebbe stata sfruttata, infatti, con grande tempestività da tutto il mainstream mondiale, per additare Putin come il responsabile, più o meno diretto. E, del resto, poco dopo, a doppiare la dose, era giunto un altro assassinio molto sospetto, quello dell’ex colonnello del KGB, Litvinenko. Acqua passata, forse, anche se Putin continua sulla stessa strada di allora e il presidente della Russia ha ora un altro nome.

Ma il problema di allora, quale che fosse il suo ideatore, non è stato risolto.

Adesso un tribunale di Mosca dichiara assolti gli arrestati. “Non colpevoli”, cioè, dopo un processo celebrato da una corte militare, con qualche irregolarità procedurale.

E noi, che non conosciamo le motivazioni della sentenza, ci troviamo con un pugno di mosche in mano, come la famiglia della vittima, come i colleghi della Novaja Gazeta che hanno appena seppellito un’altra giovane giornalista, uccisa in pieno giorno in una via centrale di Mosca.Con un pugno di mosche in mano, come la democrazia russa che ancora geme sotto le macerie dell’Unione Sovietica.

E non sappiamo se siamo stati ingannati dal giudice inquirente, che ha sbagliato l’indagine, o l’ha accomodata; oppure dal giudicante che ha subito le pressioni dei militari e ha assolto gl’imputati commettendo a sua volta un delitto; oppure dalla ragion di stato, che riesce quasi sempre - non solo in Russia, come ben sappiamo – a proteggere e nascondere i misfatti dei potenti.

L’unica cosa che sappiamo – e che non fa onore ai dirigenti della Russia, che avevano promesso di mettere il paese “sotto la dittatura della legge” - è che assassini e mandanti di Anna Politkovskaja sono in libertà.

18 febbraio 2009

Oggi presidio in piazza Nettuno alle 18 contro la violenza sulle donne

Ancora una volta le donne del sindacato, con CGIL, CISL e UIL insieme alle associazioni e alle donne di Bologna denunciano con angoscia crescente l’ulteriore atto di brutale violenza che venerdì sera della settimana scorsa ha sconvolto la vita di una ragazza giovanissima, quasi una bambina, davanti a casa sua in Via Mattei.
La violazione più grave e vergognosa dei diritti umani è stata perpetrata nella nostra città e poi sabato a Roma e a Milano: nel giro di due giorni, in un crescendo impressionante, sono state violentate tre ragazze, due italiane e una extracomunitaria. Ancora una volta Bologna è stata colpita al cuore e la società civile e le donne di questa città si stringono attorno alla paura, allo strazio della ragazza e al dolore dei famigliari. Vogliamo che non si sentano soli, vogliamo dimostrare tutta la vicinanza, la solidarietà e l’affetto possibile, pur consapevoli che questo non cancellerà il male subito.
Chiediamo che chi ha commesso lo stupro, non solo venga assicurato alla giustizia, ma resti in galera : al di là delle chiacchiere e degli slogan sulla sicurezza, il principio della certezza della pena deve trionfare nei fatti e negli atti concreti e non c’è dubbio che per il reato di stupro si debbano prevedere pene più severe. Il problema principale che dobbiamo affrontare è di carattere culturale, perciò più complesso e insidioso: l’idea che le donne debbano soggiacere alle voglie e alla forza bruta dei maschi. Una cultura priva del rispetto, del riconoscimento della volontà e della dignità delle donne che non conosce confini, limiti geografici, etnie, un male radicato che percorre tutta la storia dell’umanità.
Per questo gli strumenti da utilizzare debbono essere tanti, diversificati e tutti con un solo obiettivo: affermare il diritto al rispetto dell’integrità fisica della donna.
L’episodio di violenza a Bologna ha avuto anche un risvolto molto grave che deve destare forte preoccupazione. La persona che ha soccorso la ragazza ha dichiarato di non avere trovato nessun tipo di solidarietà e di aiuto da parte di passanti, automobilisti e pedoni.
L’indifferenza delle persone è una degenerazione che dobbiamo sconfiggere. Non si può accettare in alcun modo che di fronte ad un fatto così grave ci possa essere qualcuno che volti la faccia da un’altra parte, che non voglia vedere e non voglia sentire. L’atteggiamento individualista e la mancanza di solidarietà fanno parte di una strategia che alimenta un clima di intolleranza, di paura, di odio e di deriva razzista, che non aiuta la convivenza civile e che dimostra ogni giorno di più di non essere in grado di contrastare efficacemente la violenza.
Per CGIL, CISL e UIL il senso civico e di coesione sociale saranno sempre terreno su cui puntare, soprattutto nei momenti di crisi e di difficoltà.
La città di Bologna deve chiamare a raccolta le sue forze migliori in grado di reagire con tempestività.
Per questo le donne del sindacato con CGIL, CISL e UIL organizzano per Mercoledì 18 febbraio 2009 alle ore 18 un presidio in Piazza Nettuno per contrastare la violenza sulle donne.
Sono invitati ad aderire all’iniziativa tutte le associazioni che fanno parte della società civile, le associazioni femminili, le istituzioni, i partiti, le donne e gli uomini di questa città.
Un invito particolare va indirizzato alle associazioni degli stranieri, soprattutto quelle femminili, nella convinzione che si possa, insieme, far crescere una cultura contro ogni tipo di violenza e un atteggiamento di rispetto della dignità e del corpo delle donne.

CGIL, CISL e UIL Bologna
Bologna, 16 febbraio 2009

14 febbraio 2009

NODALMOLIN : Sospesa ogni garanzia democratica

Le forze dell'ordine, guidate dal Questore Sarlo, hanno messo l'area limitrofa al Dal Molin e l'intero territorio vicentino in stato da coprifuoco militare. Ogni assembramento di più di 3 persone è considerato manifestazione non autorizzata e i cittadini minacciati di arresto; ogni iniziativa di opposizione pacifica al cantiere per la nuova base Usa è considerata violenza. Nessun canale di dialogo è stato concesso ai manifestanti ai quali sono stati riservate soltanto minacce e botte.Stamattina un enorme spiegamento di forze dell'ordine ha impedito ai vicentini di raggiungere l'imbocco di Via Ferrarin. La polizia e i carabinieri sono avanzati per centinaia di metri, picchiando alcune persone che indietreggiavano lentamente. Poi un centinaio di manifestanti si è spostato a Montecchio Precalcino per bloccare i cancelli della ditta Carta Isnardo, dove transitano i camion che fanno la spola tra il Dal Molin e la cava. Due camion sono stati fermati per circa un'ora e, all'arrivo delle forze dell'ordine, è stato chiesto un incontro con il titolare della ditta. I funzionari della digos hanno risposto con la minaccia di arrestare tutti i manifestanti per il blocco stradale in corso.Quello messo in piedi dal questore Sarlo è un gigante con i piedi d'argilla. Decine di agenti in assetto antisommossa chiamati a Vicenza per intimorire la città. Ma i vicentini non sono cascati nella provocazione e non hanno accettato il clima di violenza instaurato dalle forze dell'ordine. Non ci interessa lo scontro, ci interessa fermare e rallentare i lavori: è quel che continueremo a fare in ogni angolo della nostra provincia.
Chiediamo che il Sindaco intervenga urgentemente per ristabilire un minimo di agibilità democratica in città.

Presidio Permanente, Vicenza, 10 febbraio 2009

9 febbraio 2009

10 Febbraio : Blocco del Dal Molin

Dal sito NODALMOLIN
I lavori all'interno dell'aeroporto Dal Molin sono proseguiti negli ultimi giorni, violando la legalità visto che, senza un progetto definivo, vengono piantati i primi pali delle fondamenta.Ma Vicenza non si è arresa: l'occupazione dell'area civile del Dal Molin, la fiaccolata sotto la pioggia, i primi blocchi parziali e temporanei della settimana passata ci dimostrano che opporsi è possibile. Fermarli si può, ma fermarli tocca a noi.Martedì 10 febbraio, dalle 6 del mattino, si svolgerà la prima giornata di blocco totale del cantiere. Pacificamente, impediremo l'ingresso dei mezzi e degli operai in Via Ferrarin. Di fronte all'imposizione del progetto opporsi è un diritto della città.
*APPELLO*
Ci rivolgiamo a tutte e tutti le/i vicentini: partecipate, fate partecipare amici e parenti, se possibile prendete permessi dal lavoro. Dobbiamo difendere la nostra terra da una nuova base di guerra! Inviate questa mail alla vostra rubrica, spedite sms.
Questa è casa nostra, noi la difenderemo!
Il 17 febbraio 2007 dicevamo che "se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia"; nei prossimi giorni e nelle prossime settimane possiamo costruire la realtà che vogliamo: una terra senza nuove basi militari.Martedì 10 febbraiodalle 6.00 alle 18.00 c/o rotatoria Via Ferrarin-V.le Dal Verme
DIFENDIAMO VICENZA FERMIAMO IL CANTIERE

4 febbraio 2009

Intervista con Luisa Morgantini, vicepresidente del Parlamento Europeo.

Dal sito Internet http://www.dols.net/ (il sito delle donne on line) Intervista a Luisa Morgantini - Vice Presidente del Parlamento Europeo

PARITA’, OBAMA SIA UN MODELLO! di Cinzia Ficco

Sulla parità uomo donna prende in prestito la prima legge firmata da Obama, nuovo presidente degli States. Tocca la questione mediorientale e fa il nome di alcune grandi donne che combattono ogni giorno per affermare il diritto alla pace.
Si tratta di Luisa Morgantini, vicepresidente del Parlamento europeo (Gruppo Confederale della sinistra Europea/ Sinistra verde Nordica), nata a Villadossola il 5 novembre del ’40.L’abbiamo intervistata.
Ha letto della prima legge sulla parità di Obama? Cosa ne pensa?
Entusiasta, ho solo paura che Obama possa essere ucciso, come lo è stato Martin Luther King o il Presidente Kennedy.Le differenze salariali tra donne e uomini che svolgono le stesse mansioni sono diffuse in tutto il mondo. Ci sono poi differenze anche tra donne per diverse appartenenze etniche o sociali. Spesso dagli Stati Uniti sono arrivati insegnamenti positivi come gli affermative acts e le misure contro le discriminazioni verso le donne. Obama nelle sue dichiarazioni fatte alla firma della legge ha sostenuto che la parità salariale non è solo una questione economica, ma definisce anche chi siamo ed ha ribadito la necessità di agire secondo i valori che si affermano e che non possono esserci cittadini di serie B. Non solo entusiasta, sono quasi commossa visto che viviamo in un mondo dalla lingua biforcuta. Trovare coerenza tra le parole e il fare dovrebbe essere normale ed, invece, è eccezionale.

E l'Unione dei 27 Paesi europei cosa fa per cancellare le disuguaglianze tra uomo e donna?

Sono molte le iniziative, le proposte ed anche i progetti per la promozione della pari opportunità. Vi sono anche linee di bilancio per la formazione a livello nazionale, locale europeo. Vi sono aiuti per il microcredito, la creazione dei posti di lavoro, direttive che prevedono azioni affermative contro le discriminazioni nei posti di lavoro o nelle assunzioni, quote nelle candidature di donne, ma anche nelle elette, politiche a favore della libertà riproduttiva, della sanità, contro il traffico delle donne e la violenza domestica e nei luoghi di lavoro.Ma molte sono le direttive inattuate, ritorniamo ad Obama non basta enunciare, bisogna fare e sostenere tutti i movimenti e i centri di donne Nel Parlamento europeo in quale percentuale rosa è presente l'Italia? Non siamo ultimi, ma siamo davvero ad una percentuale bassa, la presenza italiana è di 62 uomini e 16 donne , il 25% .

Quale il Paese più rosa?

Estonia e Lussemburgo hanno la parità 50%, mentre sono molto alte le percentuali in Olanda (48.14%), Svezia (47.36%), Francia (44,87). In Gran Bretagna c’è il 25,64% qualcosa in più che in Italia, ma è un dato molto basso perchè si possa parlare di un Paese avanzato.

Quale è quello in cui la donna fa fatica ad imporsi?

Credo che la fatica sia ovunque, ma le presenze più negative sono Cipro e Malta con nessuna presenza femminile. E poi Polonia con il 14.18% e la Repubblica Ceca con il 20.83%.

Pensa che in Italia avremo mai una Merkel? Secondo un recentissimo studio dell'Istituto medico legale dell'Aeronautica militare, le donne pilota sarebbero adatte al comando piu degli uomini. Eppure non abbiamo ancora mai avuto né un presidente della Repubblica, né un presidente del Consiglio donna al comando del Paese.. Semplicemente perchè sono attività più complicate che guidare un aereo? La mediazione è una caratteristica più femminile?
Sarei molto felice se avessimo una donna come presidente del Paese o del Consiglio, ma non basta che abbia un corpo di donna, vorrei che fosse anche l' espressione di una politica che pratica la solidarietà, la valorizzazione delle diversità, delle politiche sociali che rispondano ai bisogni degli emarginati, politiche dove sanità, educazione, lavoro, casa siano centrali nei programmi di governo e che sia contro le guerra e la violenza. Spero che le nuove generazioni sappiano scegliere in questo senso.Non abbiamo ancora avuto nessuna presidente perchè in realtà siamo ancora in un Paese dominato dagli uomini e dove alcune caratteristiche come le mediazione che lei indica come più femminile e sulla quale concordo non fanno parte della cultura politica maschile.

Pensa che le donne abbiano più capacità nel gestire problemi sovranazionali, e quindi siano piu brave ad uscire da una dimensione più territoriale?

Ovviamente non vale per tutte le donne, la mia esperienza con tante altre donne è il nostro essere cittadine del mondo, più capaci di rompere barriere e frontiere, più capaci di metterci in relazione con l'altro, capaci di essere radicate ma anche di spostarci fuori di noi. Penso che abbiamo una grande capacità: quella di essere legate alla quotidianità, ai bisogni concreti, ma di saper vedere oltre. Forse sono importanti anche l'esperienza della maternità e la necessità di rompere il cordone ombelicale, il tentativo di relegarci al privato, cosicchè l'acquisizione di spazio pubblico è sempre una conquista e questo ci permette di non accontentarci del nostro territorio.

Quale la donna impegnata politicamente che le piace di più, in Italia e all'estero?

Sinceramente non me lo sono mai chiesta, ci sono molte donne che mi piacciono e stimo molto. Intendo l'impegno politico, non necessariamente l'essere parlamentare o in un partito o in un governo.Penso di voler molto bene ad Habiba Sorabi, attualmente unica donna governatrice in Afghanistan, Gertrude Mongela, Presidente del Parlamento Pan Africano, e poi le mie amiche palestinesi e israeliane, Suad Amiry, Zahira Kamal, Nayla Ayesh, Vera Tamari, Rema Hammami, Daphna Golan, Judith Blanc, Naomi Chazan, Nurit Peled, Debbie Lerman e tante tante altre, in Africa, America latina, in Asia, negli Stati Uniti, la mamma di Rachel Corrie.In Italia sono tante le donne alla quali voglio bene e non vorrei scordarne qualcuna, per cui cito solo una donna politica di cui ho molto rispetto anche per aver saputo attraversare culture diverse: Marisa Rodano e poi una donna che per me è simbolo di modestia e di forza: Michela Buscemi, che ha saputo ribellarsi alla mafia e per vivere fa la domestica.

E veniamo ai fronti caldi in cui lei è da anni impegnata. Il Medio Oriente. Molto vicina al mondo palestinese, sembra poco clemente con Israele. Ci sono Paesi prediletti e Paesi rifiutati?

Non sono clemente con le politiche militari e coloniali dei diversi governi dello Stato d' Israele. Opero una netta distinzione tra ebrei e Israele, e rabbrividisco di fronte ad ogni espressione di antisemitismo. Sono vicina a tutte le culture e nazionalità, sopratutto sono per la difesa dei diritti umani, sociali e politici ovunque siano violati. Ritengo in compagnia delle Nazioni Unite e delle sua risoluzione che il popolo palestinese debba essere libero e liberato da una occupazione militare che dura ormai da più di 40 anni. Chi viola le risoluzioni delle Nazioni Unite è il governo israeliano che continua a costruire colonie ed a rubare terra su quello che dovrebbe essere lo Stato Palestinese nei territori occupati nel 1967. Purtroppo la Comunità Internazionale -Europa compresa - pratica una politica di due pesi e due misure, Israele, stretto alleato degli Usa rimane sempre impunito per le violazioni della legalità Internazionale che commette ogni giorno nei confronti della popolazione palestinese. Dico questo senza naturalmente condividere, anzi condannando le scelte di estremisti palestinesi di colpire la popolazione civile israeliana.

A proposito di guerre, razzismi, sterimini pensa che l'olocausto sia usato dagli ebrei per sembrare sempre vittime e mai carnefici?

Mai più, abbiamo detto, dopo la Shoah, abbiamo detto mai più. Sono stati l'orrore e la volontà di sterminare gli ebrei, e i diversi, rom, sinti, omosessuali, comunisti, oppositori della dittatura. Negare o ridimensionare la Shoah, è pura follia, invece bisogna ricordare e agire perchè non accada più, non solo la Shoah. Che non ci siano più guerre. C'è un libro bellissimo di Avraham Burg che è stato anche Presidente del Parlamento israeliano. Si intitola Sconfiggere Hitler e questo vuol dire che bisogna sconfiggere Hitler dentro ognuno di noi, nessuno è immune da responsabilità e Burg si interroga, come hanno fatto altri storici come Tom Segev sul trauma e l'uso della Shoah a fini politici.Penso che il trauma della Shoah condizioni la politica israeliana che invece di dire mai più a nessuno, dice mai più a me e questo non permette di vedere la sofferenza e l'ingiustizia che si fa ad altri, nel caso di Israele nei confronti della popolazione palestinese, che ha il diritto di vivere sulla propria terra, di avere giustizia e libertà. Solo in questo modo Israele potrà avere pace e sicurezza.

Una volta Dacia Maraini ha detto di lei: Ci sono delle donne nel nostro Paese che, se non vivessimo in un clima di stupida distrazione, presi da stupidi modelli femminili basati sulla pura seduzione del corpo, sarebbero carissime alle nuove generazioni sempre in cerca di figure femminili in cui identificarsi''. Cosa avrà voluto dire?

Penso si rivolgesse anche ai media e alla cultura che, invece, di essere attenta ai valori è più attenta a modelli femminili in cui la seduzione del corpo conta più di quella della mente. Sono i corpi e non le buone azioni che vengono sbattuti in prima pagina. Ma per fortuna ci sono sempre più donne belle e intelligenti che hanno a cuore non il successo mediatico, ma l'impegno quotidiano, perchè questo mondo possa essere vivibile ed ognuno sia d'aiuto all'altro.

Le studentesse di Kandahar trionfano sul terrorismo

January 30, 2009 ( Nella foto una delle ragazze aggredite)
Jane Armstrong

KANDAHAR, Afghanistan - It was an attack, vicious even by Afghanistan's violent standards, that shocked the world: A group of men on motorbikes surprised a group of school girls and teachers as they walked to school last November and sprayed their faces with acid.
Now, in what is being billed as a triumph over terrorism in this war-ravaged land, most of the 1,300 students - some with permanent scars on their cheeks and damaged vision - have returned to school full time.
Credit has been handed to headmaster Mahmood Qadri, 54, who moved quickly after the attacks, cajoling and begging the frightened families of the girls not to let the attackers win by giving up on their education.
"We told them not to lose this chance for your children," Mr. Qadri said.

Student Atifa Bibi recovers in a Kandahar hospital last fall after two men on a motorcycle threw acid on her as she was walking to school. (Allauddin Khan/Associated Press)
And most listened. Classrooms at Mirwais School for Girls on the outskirts of Kandahar city were brimming earlier this month as the girls prepared for mid-year exams.
One girl told a U.S. reporter that her father urged her to return to school at all costs, even if she is attacked again.
Mr. Qadri's efforts were as much to prove a point to the attackers and would-be copycats: If the goal was to intimidate the girls into staying home, the effort was doomed.
Within days of the assault, Mr. Qadri called a series of meetings with parents and teachers.
Some of the parents were fed up with the threats and attacks from insurgents.
"They were telling us ... if we don't [stand up] to this event, the insurgents will kill us and our children [in the next attack]," Mr. Qadri said.
The headmaster also met with government officials, asking for better security and buses for the girls, many of whom walk for kilometres to and from school.
So far, those requests have not been met.
Many of the Mirwais students come from families whose parents are illiterate. Despite government efforts to reverse the previous Taliban regime's edict forbidding women and girls from attending school and working outside the home, many people in this conservative province still frown on educating girls.
According to government statistics, girls make up 35 per cent of the 5.7 million students enrolled in school in Afghanistan. By remaining open, the Mirwais school remains a symbol of progress and hope in Kandahar.
At first, Mr. Qadri feared the parents would not let their children return. The day after the attack, only a few girls appeared for class, but each day their numbers have increased.
But for some students, the wounds from that morning are still raw.
Susan Ibrahimi, 18, remembers walking to school with her mother, also a teacher, when she spotted the men on motorcycles.
"They stopped in front of us," Ms. Ibrahimi said. "They took a thing hidden in some clothes, like a long pistol."
Some of the men tried to lift the women's burkas. Using spray guns, they splashed acid on the fabric, disintegrating the material. Burned and temporarily blinded, the two women ran home.
Susan's sister, Mina, a teacher who had stayed at home that day, said the two women were crying in pain and clutching their faces, which were blotched and red from the attack. Ms. Ibrahimi was the more seriously injured.
"They were in a very bad situation," Mina said. "Susan's face was hidden by her burka but some of the acid reached her face. Her face was red. Some parts of her face were burnt."
Ms. Ibrahimi was treated at a Kandahar hospital and prescribed medication. When the weather turned colder, pieces of skin began to fall off her face. She has since moved to Kabul for more treatment.
Mina said her sister is still too traumatized to resume teaching in Kandahar.
The attack appeared to have the hallmarks of a Taliban assault.
Schools, especially those catering to girls, have been targets of insurgent attacks and threats.
Police later arrested eight men. One confessed on videotape, saying he was paid by Pakistan's intelligence service. But President Hamid Karzai later told a news conference that no foreign forces were behind the attack.
Mina said she believed the assault was ordered from Pakistan, by people "who don't want us to progress even in education. They want us to be their slaves."
In time, Mina said, her sister will be back at school.
"La cosa principale è la conoscenza e la conoscenza è una bella cosa per una persona"

Blitz nella base Usa"No Dal Molin" occupa l'aeroporto

Da Repubblica


VICENZA - Duecento attivisti del movimento "No Dal Molin" hanno occupato i terreni intorno all'aeroporto vicentino dove sorgerà la nuova base Usa. Alcuni manifestanti sono saliti sui tetti di un paio di palazzine, mentre all'esterno sono esposti striscioni contro il progetto militare americano che prevede l'allargamento di Camp Ederle. Gli slogan sono quelli già usati in altre manifestazioni pubbliche e durante l'occupazione della stazione di Vicenza nel luglio scorso: "Vicenza città di pace"; "Voi demolite, noi costruiamo la pace". "L'occupazione - spiega il comitato - proseguirà ad oltranza. E' la risposta di quanti si oppongono al progetto all'annuncio dell'imminente avvio dei cantieri. Lo scorso 5 ottobre, attraverso la consultazione popolare, i partecipanti al voto hanno deciso a larga maggioranza che quel territorio deve essere destinato a usi civili; perseverare nel voler realizzare il progetto significa calpestare la democrazia". Per precauzione, gli operai delle ditte incaricate di smantellare le vecchie strutture, sono stati fatti allontanare dal questore di Vicenza arrivato alla base americana insieme ad un nutrito gruppo di agenti in assetto antisommossa. Dopo una lunga trattativa, l'Enac, l'ente dell'aviazione civile proprietario dell'area, ha concesso ai manifestanti di rimanere nella parte aeroportuale civile occupata. Tra i dimostranti, presenti non solo esponenti dei comitati cittadini contrari alla base, ma anche alcuni Disobbedienti arrivati da Padova e da altre città del Veneto. Per entrare nei terreni, hanno tagliato un pezzo della recinzione esterna ma l'occupazione si è fermata davanti ai cancelli che proteggono l'area militare interna del Dal Molin. "Siamo riusciti a bloccare i lavori - hanno commentato i manifestanti - e questa è una vittoria".

31 gennaio 2009

3 febbraio 2009

Manifestazione Notturna Contro la Violenza sulle Donne - 7 Marzo 2009


LA VIOLENZA SULLE DONNE NON È UNA QUESTIONE DI ORDINE PUBBLICO È UN PROBLEMA “CULTURALE” SOCIALE ED IN SOSTANZA POLITICO
La violenza sulle donne è la 1° causa di morte e di invalidità permanente per le donne fra i 14 ed i 66 anni in Europa, ciò nonostante siamo convinte che la violenza non sia il nostro destino. Per questo vogliamo combatterla alle radici prima che si manifesti, nelle strade ma soprattutto nelle case dove ha la sua espressione più continuativa e massiccia e con l’aiuto della scuola luogo di formazione per tutte e tutti. Denunciamo l’uso e l’abuso del corpo della donna sempre esposto, disponibile e lascivo, tanto nei media quanto nella pubblicità che genera la “cultura” dello stupro. Quello che prima era silenzio sulle violenze ora che con l’aumento delle denunce non può più essere tale, diventa strumentalizzazione. Tutti parlano e barattano interessi politici sui nostri corpi.
Rifiutiamo qualsiasi provvedimento in chiave razzista e autoritaria fatto in nostro nome.
Per noi la violenza è “solo” maschile e non dipende dal passaporto di chi la agisce. Ci ripugna la logica violenta tanto degli stupratori quanto delle ronde dei giustizieri. Per noi una strada è sicura quando è piena di donne.
Rifiutiamo la logica della paura ed affermiamo la nostra libertà! Per bloccare la violenza, crediamo nella solidarietà fra donne e lesbiche, nella denuncia dei maschi violenti, e nella necessità di dotarci di strumenti per l’autodifesa.

PRENDIAMO INSIEME PAROLA PUBBLICA DICIAMO NO ALLA VIOLENZA MASCHILE
SABATO 7 MARZO’09
CORTEO NOTTURNO DI DONNE E LESBICHE CONCENTRAMENTO ALLE H.20 IN PIAZZA DELL’UNITÀ

ASSEMBLEA CITTADINA DI DONNE E LESBICHE (BOLOGNA)

1 febbraio 2009

Terzo Presidio in p.zza Nettuno mercoledì 4 dalle 18 alle 19

Donne in Nero e non solo


DONNE INSIEME PER DIRE BASTA AL MASSACRO DI GAZA



Portiamo candele da mettere a terra per illuminare il presidio

Appello ad Obama delle CODEPINK, pacifiste americane



"Know that your people will judge you on what you can build, not what you destroy."

President Barack Obama, January 20, 2009
On the front page of the New York Times (1/28/09), we felt a mixture of sadness and outrage when we read this headline: "Aides Say Obama's Afghan Aims Elevate War Over Development." The article goes on to explain how the U.S. is going to focus on "the fight against insurgents" while our European allies would handle the "economic development and nation-building."
While we appreciate the steps Obama took during his first week in office to bring our country back into line with international treaties by moving to close Guantanamo, to reject the Military Commissions Act, and to end torture, he also authorized unmanned drone attacks in Pakistan, in direct contravention of international law, and an attack in Afghanistan that resulted in the deaths of many civilians.
With the end of the disastrous Bush years, we had hoped for a change in foreign policy direction. We do see glimmers of hope in the new administration's reaching out to Iran for direct negotiations and in the appointment of George Mitchell as the special envoy to Israel and Palestine. But what we have seen this past week in Pakistan and Afghanistan is not encouraging.
Call Obama today at (202-456-1414) or send an email by clicking here to say "Remember: 'Your people will judge you on what you can build, not what you destroy.' We need a surge in diplomacy and development, not a surge in violence."

Importante risoluzione del Parlamento europeo su Srebrenica


15 gennaio 2009
Il Parlamento europeo ,
– vista la sua risoluzione del 7 luglio 2005 "Avvenire dei Balcani dieci anni dopo Srebrenica,
– visto l'accordo di stabilizzazione e di associazione tra le comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Bosnia-Erzegovina, dall'altra, sottoscritto a Lussemburgo il 16 giugno 2008 e la prospettiva di adesione all'Unione europea accordata a tutti i paesi dei Balcani occidentali in occasione del vertice dell'Unione europea di Salonicco del 2003,
– visto l'articolo 103, paragrafo 4, del suo regolamento,
A. considerando che nel luglio 1995 la città bosniaca di Srebrenica, che era all'epoca un'enclave isolata proclamata zona protetta dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 16 aprile 1993, cadde nelle mani delle milizie serbe, guidate dal generale Ratko Mladić e sotto la direzione dell'allora Presidente della Republika Srpska Radovan Karadžić,
B. considerando che nei numerosi giorni di massacro successivi alla caduta di Srebrenica, più di 8 000 uomini e ragazzi musulmani, che avevano cercato riparo nell'area di Srebrenica protetta della Forza di protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR), sono stati sommariamente giustiziati dalle forze serbo-bosniache comandate dal generale Mladić e da unità paramilitari, tra cui reparti irregolari di polizia serbi penetrati in territorio bosniaco dalla Serbia; considerando che circa 25 000 donne, bambini e anziani sono stati deportati con la forza, rendendo tale evento il maggior crimine di guerra perpetrato in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale,
C. considerando che questa tragedia, dichiarata atto di genocidio dal Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, avvenne in una zona che l'ONU aveva proclamato zona di sicurezza ("safe haven") e rappresenta perciò un simbolo dell'impotenza della comunità internazionale ad intervenire nel conflitto e a proteggere la popolazione civile,
D. considerando le molteplici violazioni delle Convenzioni di Ginevra perpetrate dalle truppe serbo-bosniache contro la popolazione civile di Srebrenica, fra cui la deportazione di migliaia di donne, bambini ed anziani e lo stupro di un gran numero di donne,
E. considerando che, nonostante gli enormi sforzi finora compiuti per scoprire le fosse comuni e individuali e per esumare e identificare i corpi delle vittime, le ricerche condotte fino ad oggi non consentono una ricostruzione completa degli eventi che si sono verificati a Srebrenica e nei dintorni,
F. considerando che non può esservi vera pace senza giustizia e che la piena e incondizionata cooperazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia resta la premessa fondamentale per la prosecuzione del processo di integrazione degli Stati dei Balcani occidentali nell'Unione europea,
G. considerando che il generale Radislav Krstić dell'esercito serbo-bosniaco è la prima persona giudicata colpevole di complicità nel genocidio di Sebrenica dal Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, ma considerando al tempo stesso che il principale accusato, Ratko Mladić, a distanza di quattordici anni dai tragici eventi, è tuttora latitante; considerando, altresì, con favore il fatto che Radovan Karadžić sia stato condotto dinanzi al Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia,
H. considerando che l'istituzionalizzazione di un giorno del ricordo costituisce il modo migliore per pagare un tributo alle vittime dei massacri e inviare un chiaro messaggio alle generazioni future,
1. commemora e onora tutte le vittime delle atrocità perpetrate durante le guerre combattute nell'ex Iugoslavia; esprime le sue condoglianze e la sua solidarietà alle famiglie delle vittime, molte delle quali vivono senza conoscere con certezza il destino dei loro familiari; riconosce che questo continuo dolore è aggravato dal fatto che i responsabili di questi atti non sono stati processati;
2. invita il Consiglio e la Commissione a commemorare degnamente l'anniversario del genocidio di Srebrenica-Potočari, sostenendo la proposta del Parlamento di proclamare l"11 luglio giorno di commemorazione del genocidio di Srebrenica nell'intera Unione europea ed invita tutti i paesi dei Balcani occidentali a fare altrettanto;
3. chiede ulteriori sforzi per assicurare alla giustizia coloro che sono ancora latitanti, manifesta il suo pieno appoggio al valido e difficile lavoro del Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia e sottolinea che consegnare alla giustizia i responsabili dei massacri a Srebrenica e nei suoi dintorni rappresenta un importante progresso verso la pace e la stabilità nella regione; ribadisce a tale proposito che occorre prestare maggiore attenzione ai processi per crimini di guerra a livello interno;
4. sottolinea l'importanza della riconciliazione come parte del processo di integrazione europea; evidenzia l'importante ruolo delle comunità religiose, dei media e del sistema scolastico in questo processo, affinché i civili di tutti i gruppi etnici possano superare le tensioni del passato ed iniziare una pacifica e sincera coesistenza tesa ad una pace, una stabilità e una crescita economica durature; esorta tutti i paesi a compiere ulteriori sforzi per cominciare ad accettare un passato difficile e travagliato;
5. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi degli Stati membri, al governo e al parlamento della Bosnia Erzegovina e alle sue comunità, nonché ai governi e ai parlamenti dei paesi dei Balcani occidentali.

APPELLO di Mustafa Barghouthi - Call for action



24 Gennaio 2009
A pochi giorni dal cessate il fuoco unilaterale proclamato da Hamas ed Israele, la popolazione di Gaza si sta accorgendo del livello di distruzione che ha colpito le loro case e le loro vite. 1335 abitanti di Gaza sono stati uccisi; in maggioranza civili civili, inclusi 400 bambini innocenti, mentre 5000 sono i feriti gravi.
Oggi chiediamo ai nostri amici, colleghi, e a tutti coloro che hanno a cuore valori quali la libertà e il rispetto dei diritti umani, di agire con decisione per raggiungere i seguenti obbiettivi:

1) Porre fine all’occupazione Israeliana sia a Gaza che in Cisgiordania.
Il Governo Israeliano afferma di aver ritirato il suo esercito da Gaza. Ma si tratta di una bugia. Israele occupa a tutt’oggi la Striscia, i suoi aerei controllano lo spazio aereo e le sue navi pattugliano la costa. Le stesse truppe di terra occupano una zona all’interno del territorio di Gaza, e i valichi di ingresso sono ancora chiusi dall’esercito che non ne consente l’apertura nemmeno per il passaggio degli aiuti umanitari.
L’esercito israeliano ha gia’ violato il cessate il fuoco in numerose occasioni. Solo ieri una nave militare ha colpito 5 pescatori palestinesi che si trovavano a pescare sulla spiaggia, da quando è stato dichiarato il cessate il fuoco, un consistente numero di abitanti di Gaza sono stati uccisi o feriti.

2) Rimuovere l’assedio inumano imposto a Gaza, aprendo tutti i valichi, incluso quello di Rafah.Se i valichi rimangono chiusi sara’ impossibile rispondere anche soltanto alle piu’ basilari esigenze umanitarie, per non parlare della ricostruzione delle 25000 abitazioni danneggiate nei bombardamenti e della riparazione delle infrastrutture.I cancelli della ‘Prigione di Gaza’, che ospita 1milione e mezzo di persone devono essere aperti se esiste il minimo rispetto e volontà di alleviare la sofferenza dei suoi abitanti.

3) Creare una commissione indipendente per investigare gli eventuali crimini di Guerra e contro l’Umanita’ commessi da Israele, incluso l’uso di armi non convenzionali.

4) Portare il Governo Israeliano e l’establishment militare davanti ad un tribunale di guerra.Benche’ Israele abbia dimostrato in passato di avere scarso rispetto per il Diritto Internazionale altri paesi suoi alleati non dovrebbero dimenticare le loro responsabilita’ di fronte alle corti criminali internazionali. Questo significa agire contro i responsabili delle politiche israeliane che cerchino di recarsi all’estero, avviando procedimenti penali contro questi ultimi per i gravi atti da loro compiuti a Gaza .

5) Cessare immediatamente ogni forma di cooperazione militare con Israele, includendo l’immediata cancellazione di qualsiasi operazione di import/export militare che veda coinvolto IsraeleDovrebbe essere immediatamente chiarito agli alleati politici ed economici dello Stato di Israele che la loro assistenza viene utilizzata per sostenere l’oppressione del popolo Palestinese in contrasto con il diritto internazionale e gli stessi diritti umani. Se il supporto da parte dei partner stranieri proseguira’, crediamo che Israele non avra’ alcuna ragione per porre fine ai suoi comportamenti criminali.
6)Immediata sospensione dei rapporti privilegiati con Israele, incluso il potenziamento delle sue relazioni con l’Unione Europea.
Ne’ i Palestinesi ne’ gli Europei possono riportare in vita i 1335 uomini, donne e bambini uccisi. Né e’ possibile riparare totalmente i danni provocati all’economia di Gaza.Ma insieme possiamo prevenire futuri crimini di guerra, e fermare la follia militarista di IsraeleAncora piu’ importante è che possiamo ridare fiducia nell’umanita’ ad una popolazione, quella palestinese, che negli ultimi anni e’ stata abituata alla perpetrazione degli abusi e dei piu’ orribili delitti, mentre il mondo rimaneva passivamente a guardare.
A nome della Palestinian National Initiative
E del Palestinian National Committee to Support GazaDr. Mustafa Barghouthi
Segretario Generale